Paolo Farina: pensieri sul colore – di Lucia Boni

Si possono sintetizzare in molti riquadri di colore puro (smarginati e stampati su carta fotografica) tutte le azioni e le storie, le esperienze che si vivono nel tempo? E si può configurare su ciascuna carta (in superfici compatte e macchie e striature e vortici e onde e battiti o altro) la traccia di ogni singolo giorno (o sono solo vaghe forme dal carattere meramente estetico)? Sono ipotesi generiche.

Provo a rispondere in modo affermativo e comincio a sfogliare le immagini di Paolo Farina, eclettico creativo senza etichette, che, questa volta, propone un suo book fotografico.

C’è un rischio che occorre calcolare: quando un pittore, uno scrittore, un artista, comunque, esce allo scoperto e mostra la propria opera in pubblico, si espone e da quel momento in poi quell’opera non è più solo sua. Egli la pone nelle mani di un soggetto altro, che ricevendola si inserisce nel processo creativo e partecipa in prima persona, con empatia o talora con avversione, a volte viziata dal preconcetto, oppure in modo libero e sincero.
Nella coazione dell’artefice con il fruitore, le cose assumono suggestioni e valori nuovi rispetto a quelli concepiti dell’artista.

Ora su una pagina dopo l’altra, scorrono un colore successivo all’altro.
Una possibile interpretazione: ogni riquadro è come se fermasse un istante dentro il proprio perimetro e, per chi li guarda in sequenza, è come sfogliare il libro dei propri giorni.
Ecco una zona giallo ocra dorato (è difficile precisare a parole la percezione ottica)  sfuma in lontananze grigie. Forse è un’onda sulla battigia?
L’ossessione del reale e della verosimiglianza può deviare il senso della lettura.
Laddove il “testo visivo” non sia figurativo, ovvero fatto di figure riconoscibili, il “lettore” è tentato di tradurre le percezioni nella frase:
.
Nulla. La pittura, né la fotografia in questa accezione, non deve necessariamente “rappresentare” altro. L’immagine del foglio “è”, ma al tempo stesso “allude”. Nessuna delle due azioni è rappresentazione. Quindi la lettura non cerca traduzioni, ma le percezioni dell’istante e le esperienze che ce le hanno fatte conoscere durante il nostro vivere. Ciascuno darà la propria lettura del tutto personale. Le pagine che sfoglia alludono alla propria vita concreta. Inequivocabilmente (ed è solo apparente la contraddizione tra la liquidità del colore che scorre sullo smalto lucido del foglio e l’assoluto di quest’ultima affermazione).

Ecco il perché di questo mio sfogliare lento e questo mio soffermarmi in ogni pagina. È la ricerca delle evocazioni cocenti, che ritornano dalla mia memoria. Mi fermo sui movimenti che dalla superficie emergono, pregni e saturi di colore o evanescenti, vasti e distesi o quasi “cinguettanti”, vibranti, pulsanti, fuggenti e veloci. Sono sottilissimi filamenti intrecciati o masse dal peso specifico notevole. Sono leggerissime sfoglie viste di taglio, che pare il vento sollevi e scompigli. Ciò che in modo banale si definisce “astratto” contatta invece l’intimo di concrete percezioni.

Non occorre dare titoli e le parole sono superflue. Ciascuna tavola cromatica parla il suo proprio linguaggio.
A noi che osserviamo spetta il compito di lasciarci invadere dai suoni e dagli aromi che il colore emana.

Lucia Boni